Sosta in chiesa per il 25 aprile: festa della Liberazione

UN POPOLO HA LA LIBERTÀ PER CUI E’ DISPOSTO A LOTTARE

 

Nella nostra sosta in chiesa vogliamo presentare al Signore i caduti per l’alta e nobile causa della Liberazione e, con loro, tutte le vittime di quei giorni, perché, sanata ogni nostra terrena contrapposizione, si possa sperimentare l’unica verità e salvezza portata da Gesù, Lui che risorgendo è divenuto, per tutti, il grande Liberatore. I divisi, i contrapposti, gli ostili di allora, secondo i dettami della coscienza, e anche le vittime ignare e indifese, tutti qui sono affidati alla divina misericordia. La nostra preghiera però va anche ai vivi, a noi dunque, perché i valori più veri ed alti che sono stati alla base dei gloriosi giorni della Resistenza sfociati nella Liberazione, continuino ad ispirare i nostri sentimenti e le nostre azioni in difesa della dignità umana e a favore del bene comune; così che l’uomo, al di sopra delle parti, delle ideologie e degli schieramenti, a qualunque età, condizione e popolo appartenga, sia comunque posto al centro di ogni attenzione e cura.

 

(Istante di silenzio)

 

La liberazione è un patrimonio prezioso e, in quanto tale, va festeggiata, ma soprattutto perseguita, perché sempre rimane opera incompiuta, impresa che costantemente attende propugnatori e perfezionatori. La liberazione è continua ed instancabile conquista di libertà. Il concetto di libertà, come dono e come compito, trova spazio cruciale nelle Sacre Scritture:”Voi , fratelli, siete stati chiamati a libertà” (GaI 5,13), dice san Paolo ai cristiani della Galazia. Gesù stesso, presentandosi come Messia nella sinagoga di Nazaret, aveva applicato a sé proprio le parole del profeta lsaia: “Il Signore mi ha mandato per proclamare ai prigionieri la liberazione” (Lc 4, 18). La libertà portata da Cristo è anzitutto interiore, libertà dello spirito, ma non senza riverberi esteriori o ricadute sociali. Chi custodisce come proprio tesoro la redenzione che il Figlio di Dio, a prezzo del suo sangue ci ha meritato, non può infatti che opporsi, con tutto sé stesso, alle tante forze che vogliono invece asservirci e operare a favore di quanti, nel mondo, si vedono ancora negare questo bene primario.

 

Alle fronde dei salici

[da Giorno dopo giorno (1947), Salvatore Quasimodo]

E come potevamo noi cantare

con il piede straniero sopra il cuore, fra i morti abbandonati nelle piazze

sull’erba dura di ghiaccio, al lamento d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero

della madre che andava incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo?

Alle fronde dei salici, per voto, anche le nostre cetre erano appese, oscillavano lievi al triste vento.

 

Lungo i fiumi di Babilonia,/là sedevamo e piangevamo/

ricordandoci di Sion.

2 Ai salici di quella terra/appendemmo le nostre cetre,

3 perché là ci chiedevano parole di canto

   coloro che ci avevano deportato,

   allegre canzoni, i nostri oppressori:

“Cantateci canti di Sion! “.

4Come cantare i canti del Signore/in terra straniera?

5Se mi dimentico dite, Gerusalemme,

si dimentichi di me la mia destra;

6 misi attacchi la lingua al palato

  se lascio cadere il tuo ricordo,

  se non innalzo Gerusalemme/al di sopra di ogni mia gioia.

  (Salmo 137)

 

 

Shomer ma mi Ilailah

 

Canzone di Francesco Guccini ispirata alla Bibbia, dal libro di Isaia (Cap. 21). Inno alla passione civica e alla voglia insaziabile di apprendere il senso della realtà andandone sempre alla ricerca.

 

La canzone prende il titolo proprio dalla frase cruciale del capitolo, appunto Shomer ma mi llailah, mantenuta volutamente in lingua ebraica il cui singolare significato è: “Sentinella, dimmi, quanto resta ancora della notte? “. L’ambientazione è in un luogo non ben definito, probabilmente un deserto. Questa sentinella, messa di guardia di non si sa che cosa, viene raggiunta dalla domanda di un uomo (forse un viandante o un pellegrino), appunto:”Sentinella, quanto resta della notte? “. La sentinella offre una risposta sospesa e misteriosa:”La notte sta per finire, ma l’alba ancora non è giunta. Tornate ancora però; non stancatevi di domandare e insistete! “. E’ la metafora dell’universale condizione umana: l’uomo, da sempre, si pone domande che non trovano facile risposta. L’importante è proprio il non stancarsi di porsi domande, per tentare sempre di scoprire e di approssimarsi ad un senso.

 

 

Le prime due strofe della canzone servono a collocare e a spiegare chi sia questa sentinella, “guardiano eterno di non so cosa, cerco innocente o perché ho peccato la luna ombrosa”. Quest’uomo, che si percepisce come “l’infinita eco di Dio”, resta immobile a subire il tempo nell’attesa che qualcuno venga a porgli delle domande come “un lampo secco~~ o un “notturno grido”. Ma è nella terza ed ultima strofa che si esplicita appieno il significato profondo di questa canzone: la domanda gli è giunta e la sentinella può lanciare la sua risposta e il suo invito:”La notte, udite, sta per finire, ma il giorno ancora non è arrivato, sembra che il tempo, nel suo fruire, resti inchiodato. Ma io veglio sempre, perciò insisteste, voi lo potete, ridomandate. Tornate ancora se lo volete, non vi stancate!’~

 

La canzone si chiude con un’immagine che mostra tutta la precarietà umana (“Cadranno i secoli, gli dei e le dee, cadranno torri, cadranno regni, e resteranno di uomini e idee, polvere e segni”), vinta però dall’inesausta domanda: Shomer ma mi llailah…

 

 


Preghiamo. Ti affidiamo, Padre, i fratelli e le sorelle che, con grande sacrificio personale hanno saputo resistere alla prepotenza e alla violenza per preparare a noi un futuro migliore e più degno. Da qui, insieme, vogliamo raccoglierne l’eredità. Per incrementare, nel presente, la concordia, il bene comune, la pace e la giustizia, che Tu vuoi, c’è bisogno ancora dell’impegno di tutti. Ed è indispensabile la forza dirompente dello Spirito del Risorto, Colui che mai può restare prigioniero della morte e vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.


 

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