MESSAGGIO DI EPIFANIA

Un suggestivo racconto della tradizione popolare ebraica narra di un vecchio saggio che, un giorno, percorrendo le viuzze di un villaggio, ebbe modo di scorgere, rannicchiato in un angolo buio, un bambino che piangeva con singhiozzi trattenuti, quasi impercepibili.

“Perché piangi figliolo?” – gli chiese.

“Perché sto giocando con i miei amici; mi sono nascosto ormai da tanto tempo, ma nessuno mi viene a cercare!”.

Allora anche al vecchio spuntarono due grosse lacrime e disse:” Sai, figliolo, tu stai parlando con le parole stesse di Dio; dice Infatti Dio – io mi nascondo e nessuno viene a cercarmi!“.

Noi però celebriamo l’Epifania che significa “manifestazione”: Dio che si manifesta; che si manifesta a tutti. Già, ma non possiamo non domandarci:” Di quale manifestazione si tratta? In che modo si manifesta Dio?”.

Dobbiamo forse pensare ad una esplosione di potenza, ad un evento eclatante, destinato a finire sulla bocca di tutti; a qualcosa capace di mettere all’angolo l’indifferenza distratta della gente e costringere tutti all’evidenza?

In astratto, qualsiasi Dio, potendolo, farebbe proprio così, ma, in concreto, il Dio di cui stiamo parlando noi, fa in tutt’altro modo e sceglie di mostrarsi sempre nell’unica modalità, nello stile di allora, di quella prima volta.

Non al centro, nella capitale, ma nel lembo più marginale del grande impero; non in una reggia e a corte, ma in una stalla; non attraverso un personaggio pubblico e di potere, ma in un bambino di umile famiglia; segnalato sì da una stella, ma che pare abbiano scorto e che certamente hanno preso in considerazione ben pochi e, per di più, stranieri, pagani…; con degli annunzi celesti, ma che hanno percepito solo alcuni disprezzati pastori. Pastori e stranieri dunque, gli unici testimoni esterni di quell’evento.

Ma che razza di manifestazione divina è mai questa? Più che una manifestazione assomiglia tanto all’intenzione, appunto, di nascondersi! Ecco il punto: quando capiremo che il nostro non è il deus ex machina delle mitologie e dei retaggi pagani (sempre duri a morire), quello che mirabolante e risolutivo irrompe sulla scena del mondo, quello infido, invidioso, geloso capace di popolare gli incubi notturni della nostra cattiva coscienza e che certamente disturbava i sonni di Erode? No, il nostro Dio è decisamente un Dio altro.

Il Dio del vangelo è essenzialmente il Padre di Gesù Cristo, uno che non teme di lasciarsi definire dalle braccia allargate di un neonato che vuole abbracciare tutto e tutti, preannuncio di un altro abbraccio, quello della e dalla croce, misura infinita d’amore.

Un Dio altro che promuove, che suscita ed esige, questo sì, uomini e donne altri; un umanità altra che abbia finalmente nei pastori e nei Magi i suoi campioni. Un’umanità libera dalla confidenza esclusiva nelle comodità egoiste; non arroccata sui propri pretesi privilegi o chiusa ad ogni condivisione solidale. Un’umanità non stancamente ripiegata su sé stessa, ma generosamente aperta, alla continua ricerca del meglio; docile a lasciarsi mettere in discussione, disposta ad affrontare sempre nuovi cammini di crescita; attratta, com’è, dall’ulteriore verità.

Un’umanità cordialmente disposta all’incontro con gli altri, ritenuti portatori di sorprese positive; capace di sostare, in grata contemplazione, di fronte ad ogni scheggia di bellezza e di bontà incontrate…

Il futuro sarà possibile e promettente, sarà epifania di speranza se, finalmente o almeno un po’ di più, vedrà l’incontro tra un Dio così ed una umanità così; ben sapendo che chi drammaticamente può mancare all’appuntamento siamo soltanto noi, non certo Dio.

Mettiamoci dunque in cammino con la stessa vigile disponibilità dei pastori, con l’indomito spirito di ricerca dei Magi.