GIONA E NOI
Gesù – venuto poco dopo Giona ed il rigido giudaismo del suo tempo – conferma, attraverso gli assoluti contrasti che la sua missione universalistica ha incontrato, che la visione nazionalista, ristretta, incentrata sui propri privilegi religiosi, nella chiusura a tutti gli altri e ad ogni novità, non solo è dura a morire, ma prospera con ogni virulenza. Gesù, nonostante tutto e sino in fondo, ha condotto comunque la propria missione rivelando appieno il volto di Dio; un Padre che tutti ama e che tutti vuole salvi; buono, fedele e grande nell’amore, il cui modo di fare giustizia è quello di usare misericordia.
La lettura del libro di Giona può risultare dunque quanto mai utile e attuale, dal momento che pone le stesse provocazioni di allora, ma soprattutto offre le sue preziose risposte ad una Chiesa, come la nostra che, spesso confusa, è chiamata a vivere e a testimoniare il vangelo in un tempo assai mutevole ed in una società per tanta parte incompresa, fortemente secolarizzata, pluralista e globalizzata in cui lo straniero, il credente di diversa religione e cultura, l’indifferente, l’ostile, il “diverso”, non sono più solo lontani, a Ninive, ma li si incontra qui, rappresentati dallo stesso vicino di casa e di lavoro, mescolati tra di noi e con i nostri figli …
Giona, profeta suo malgrado, rabbioso e ribelle, tirato per i capelli in una vicenda che sente non sua; costretto misteriosamente da Dio ad una missione che non si addice alla sua strutturata mentalità tradizionalista, presso gente cioè straniera, ostile e pericolosa, è comunque una figura vicina a noi.
Anche noi infatti ci sentiamo inadeguati a capire e a vivere questo nostro “impazzito” mondo; costretti, tante volte, a scelte che non vorremmo fare; tra cambiamenti culturali morali e religiosi subitanei ed incompresi; messi di fronte a proposte di fede o a sintesi spirituali apparentemente in contrasto con quelle precedentemente consolidate. E’ così rappresentata la posizione delusa e perplessa di molti fratelli tendenzialmente nostalgici e legati alla tradizione che nei tanti cambiamenti epocali e, ad esempio, nell’evidente ridimensionamento della pratica religiosa di questi ultimi decenni non sanno vedere altro che il segno e la prova di un errore di rotta intrapreso dalla società, ma anche dalla Chiesa di oggi.
Come non accorgersi invece che se non ci s’incammina con docilità e fiducia sulla via di una rinnovata, coraggiosa e coerente apertura di mentalità e di cuore, in obbedienza a Gesù più che a nostri rigidi e nostalgici schemi ideologici, resta solo la via dell’emarginazione e della lamentazione, negandoci ogni possibilità di apportare qualcosa di positivo e di profetico al cammino della nostra società e della nostra Chiesa.
Ecco perché uno degli interrogativi finali che incontreremo nell’odierno brano del libro di Giona: Ti sembra giusto comportarti così? – diventa, quanto mai, indispensabile per il nostro cammino di conversione.
Ma Giona ne provò grande dispiacere e ne fu indispettito. Pregò il Signore: «Signore, non era forse questo che dicevo quand’ero nel mio paese? Per ciò mi affrettai a fuggire a Tarsis; perché so che tu sei un Dio misericordioso e clemente, longanime, di grande amore e che ti lasci impietosire riguardo al male minacciato. Or dunque, Signore, toglimi la vita, perché meglio è per me morire che vivere!». Ma il Signore gli rispose: «Ti sembra giusto essere sdegnato così?».
Giona allora uscì dalla città e sostò a oriente di essa. Si fece lì un riparo di frasche e vi si mise all’ombra in attesa di vedere ciò che sarebbe avvenuto nella città. Allora il Signore Dio fece crescere una pianta di ricino al di sopra di Giona per fare ombra sulla sua testa e liberarlo dal suo male. Giona provò una grande gioia per quel ricino.
Ma il giorno dopo, allo spuntar dell’alba, Dio mandò un verme a rodere il ricino e questo si seccò. Quando il sole si fu alzato, Dio fece soffiare un vento d’oriente, afoso. Il sole colpì la testa di Giona, che si sentì venir meno e chiese di morire, dicendo: «Meglio per me morire che vivere».
Dio disse a Giona: «Ti sembra giusto essere così sdegnato per una pianta di ricino?». Egli rispose: «Sì, è giusto; ne sono sdegnato al punto da invocare la morte!». Ma il Signore gli rispose: «Tu ti dai pena per quella pianta di ricino per cui non hai fatto nessuna fatica e che tu non hai fatto spuntare, che in una notte è cresciuta e in una notte è perita: e io non dovrei aver pietà di Ninive, quella grande città, nella quale sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di animali?».
(Giona 4,1-11)
MEDITAZIONE
IL “SEGNO” DEL RICINO
Foss’anche una rosa, come per il Piccolo Principe, oppure una pianta di ricino, come nel caso del nostro Giona; l’importante è che, finalmente, ‘qualcosa’ diventi speciale e caro ai nostri occhi e al nostro cuore. Questa è la regola, questa è la breccia… Il resto verrà di conseguenza.
Già, l’unica condizione per lasciare l’adolescenza ed abbracciare la maturità nella vita è l’uscire da sè stessi e il cominciare a fare esperienza del prendere a cuore, del dedicarsi, dell’appassionarsi, in una parola, dell’amare. Da questo punto prospettico veramente adeguato si può accostare il senso profondo della realtà.
Ma procediamo con ordine. Giona è talmente indispettito nei confronti del Signore per quel che ha dovuto fare in suo nome a Ninive, cioè per essere stato coinvolto, suo malgrado, in una missione di salvezza presso quegli stranieri pagani, da desiderare la morte. Come padre paziente e amorevolissimo, Dio cerca di farlo ragionare:”Ti sembra giusto essere sdegnato così?”. Giona nemmeno risponde e per la seconda volta si allontana e fugge da Lui e da tutti, quasi volesse farsi spettatore esterno degli accadimenti. Qui s’inserisce o, meglio (dato che tutto procede per divina sollecitudine), qui è inserito l’episodio del ricino.
Fino ad ora avevamo visto Giona triste ed arrabbiato, sempre, anche di fronte allo scampato pericolo; ora, c’è qualcosa che lo ha reso felice, ora per la prima volta, egli “ prova una grande gioia” ed è a motivo di quel ricino, cresciuto per farli ombra.
E’ proprio così: amorevolezza (nei confronti di qualcosa o di qualcuno) e gioia sono sentimenti che vanno a braccetto. Una gioia di breve durata però quella del Profeta, destinata a trasformarsi ben presto in ulteriore motivo di sdegno di fronte al subitaneo avvizzire di quello stesso ricino.
Ma Giona da questa esperienza ne esce comunque segnato ed interiormente trasformato. Ora infatti Giona è sì sdegnato, ma non più,come prima, in modo quasi indifferrenziato, contro tutto e contro tutti; finalmente, lui è sdegnato per simpatia verso qualcosa che solo per poco ha avuto… Per qualcosa a cui si è affezionato e di cui sente, con nostalgia, la mancanza… All’ombra del ricino, ha assaporato breve ma piacevole momento di gratuità che gli ha procurato gratitudine e che gli ha permesso di sorridere, seppure fugacemente, alla vita, dandogli modo di accorgersi, a sua volta, che la vita stava sorridendo anche a lui…
E Dio proprio qui di nuovo interviene. E’ come se, nella sua amorevole provvidenza, non avesse cercato altro. Eccolo dunque valorizzare questa favorevole opportunità, questa piccola breccia esistenziale per far passare il suo messaggio:”
Io e te, Giona, ormai siamo molto piu vicini, perché tu finalmente hai compreso o, perlomeno, sei in grado di comprendere il mio segreto. Tu, dal momento che hai cominciato a darti pena per la sorte di quell’essere fragile ed effimero che è la pianta di ricino, sai cosa vuol dire amare e, non potrai più, infatti e a maggior ragione, continuare a disprezzare la sorte dei Niniviti e con loro quella dell’intera umanità e di tutto l’universo creato che oggettivamente è infinitamente più preziosa,perciò smetterai di sentirti contro di me e volentieri e con amore, desidererai la salvezza tutto e tutti”.
In realtà, il testo è più sfumato; termina infatti con una grande domanda e non parla esplicitamente di un sicuro esito positivo per la vicenda personale del profeta. Ne crea tuttavia i presupposti e piace immaginare che le cose siano andate proprio così, che il libro di Giona cioè, mentre descrive la conversione dei marinai prima e dei Niniviti poi, raggiunga anche ed infine, più difficile di tutte,la conversione dello stesso Giona. Commuove, ancora una volta, constatare la pazienza infinita di Dio che si prodiga nell’inseguire e nel recuperare tutti e ciascuno; ciascuno e tutti.
Le ragioni qui addotte per esprimere una doverosa apertura universalistica a tutti gli uomini e a tutto il creato sono essenzialmente di carattere teologale (perché Dio è così; perché Dio lo vuole), ma sono altresì radicate nell’orizzonte di comprensione più profondo e vero della natura umana (il fatto di essere amati, deve spingere alla capacità di riamare), Giona sono io e a me è rivolta la domanda del Signore:” E’ giusto continuare a comportarti così?”.
Io, pur nella mia meschinità, sono messo poi a parte del segreto di Dio: l’orizzonte sconfinato del suo amore; affinché ne possa gioire, immerso cordialmente nell’umanità, fratello tra i fratelli, in modo finalmente consapevole e grato.
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