3° stazione quaresimale 2017 – MOSE’ INTERCESSORE

 1 Il popolo, vedendo che Mosè tardava a scendere dalla montagna, si affollò intorno ad Aronne e gli disse: «Facci un dio che cammini alla nostra testa, perché a quel Mosè, l’uomo che ci ha fatti uscire dal paese d’Egitto, non sappiamo che cosa sia accaduto». 2 Aronne rispose loro: «Togliete i pendenti d’oro che hanno agli orecchi le vostre mogli e le vostre figlie e portateli a me». 3 Tutto il popolo tolse i pendenti che ciascuno aveva agli orecchi e li portò ad Aronne. 4 Egli li ricevette dalle loro mani e li fece fondere in una forma e ne ottenne un vitello di metallo fuso. Allora dissero: «Ecco il tuo Dio, o Israele, colui che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto!». 5 Ciò vedendo, Aronne costruì un altare davanti al vitello e proclamò: «Domani sarà festa in onore del Signore». 6 Il giorno dopo si alzarono presto, offrirono olocausti e presentarono sacrifici di comunione. Il popolo sedette per mangiare e bere, poi si alzò per darsi al divertimento. 7 Allora il Signore disse a Mosè: «Va’, scendi, perché il tuo popolo, che tu hai fatto uscire dal paese d’Egitto, si è pervertito. 8 Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicata! Si son fatti un vitello di metallo fuso, poi gli si sono prostrati dinanzi, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: Ecco il tuo Dio, Israele; colui che ti ha fatto uscire dal paese di Egitto». 9 Il Signore disse inoltre a Mosè: «Ho osservato questo popolo e ho visto che è un popolo dalla dura cervice. 10 Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li distrugga. Di te invece farò una grande nazione». 11 Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: «Perché, Signore, divamperà la tua ira contro il tuo popolo, che tu hai fatto uscire dal paese d’Egitto con grande forza e con mano potente? 12 Perché dovranno dire gli Egiziani: Con malizia li ha fatti uscire, per farli perire tra le montagne e farli sparire dalla terra? Desisti dall’ardore della tua ira e abbandona il proposito di fare del male al tuo popolo. 13 Ricordati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso e hai detto: Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo e tutto questo paese, di cui ho parlato, lo darò ai tuoi discendenti, che lo possederanno per sempre»… 30 Il giorno dopo Mosè disse al popolo: «Voi avete commesso un grande peccato; ora salirò verso il Signore:forse otterrò il perdono della vostra colpa». 31 Mosè ritornò dal Signore e disse: «Questo popolo ha commesso un grande peccato: si sono fatti un dio d’oro. 32 Ma ora, se tu perdonassi il loro peccato… E se no, cancellami dal tuo libro che hai scritto!». (Esodo 32)

 

Analizziamo brevemente alcuni tra i passaggi significativi di questo brano.

v.1a:“Mosè tardava a scendere dalla montagna”: il tempo che trascorre sul monte, dice  e dovrebbe dire dell’importanza dell’incontro fra Dio e Mosè, in cui si prospetta  il futuro di riscatto e di bene per tutto il popolo. Popolo che invece, nella sua meschinità impaziente, travisa ogni cosa, facendo passare questo ritardo per un abbandono; per una fuga da parte di Mosè.

v.1:“Facci un dio”: in questa pretesa assurda sta la radice di ogni peccato. Avevano conosciuto “il Dio vero”, ora sono pronti a barattarlo con “un dio purchessia”. E un dio che si può “fare” è un dio che si può pure addomesticare, piegare a sé; non è più l’altro da sé, da seguire con ossequio e obbedienza. C’è una mira profondamente maliziosa dietro a questa richiesta: diventare dio a se stessi..!. Israele, con il vitello d’oro, esprime il ripudio della propria speciale relazione con l’Eterno: abbandona Dio e Dio, di conseguenza, abbandona il popolo.

v.7:“Scendi”: “Sì, scendi Mosè a constatare di persona ciò che stanno combinando; scendi a toccare con mano l’abominio; scendi a farti testimone e partecipe della mia giusta, divina, indignazione; scendi a darmi ragione!”

v.10:“Lascia…”: è ancora  Dio a parlare ma il tono è mutato, ora sembra chiedere permesso a Mosè… Stupendo! La figura di Mosè, ancor prima delle sue parole, costituisce il più grande ostacolo alla  volontà punitiva di Dio. Dio non è più libero; un volto amico ed inquietante gli sta infatti di fronte e lo costringe a rendere ragione delle sue azioni. Dio è come incatenato dall’ingombrante presenza di Mosè e perciò lo invoca di “lasciarlo”; di potersi, almeno per un momento, “divincolare” da lui…

v.7:“…Il tuo popolo, che tu hai fatto uscire dall’Egitto…”: succede qui un po’ come in famiglia, quando, di fronte al comportamento particolarmente deludente di un figlio, forte è la tentazione, da parte di ciascuno dei coniugi, di tirarsi fuori e di rinfacciare all’altro ogni responsabilità e così “nostro” figlio diventa “tuo” figlio, con la descrizione particolareggiata e spietata al partner di tutte le malefatte compiute da quello (vv. 7-8). Dio, profondamente deluso ed amareggiato, come un qualsiasi genitore molto umano, è qui tentato di prendere le distanze dal popolo e di scaricarlo tutto sul povero Mosè.

v.11:“…Il tuo popolo, che tu hai fatto uscire dall’Egitto”: sono le stesse parole, ma questa volta ribaltate, pronunciate cioè non più da Dio, ma da Mosè. E’, la sua inevitabile contromossa; la  sua restituzione al mittente. Ciò che c’è di nuovo qui è che queste parole sono comunque ben più vere delle precedenti e rappresentano maggiormente la verità delle cose. Dio e Mosè infatti, nei confronti del popolo, non sono partners alla pari: l’uno è il Creatore dell’universo che si è voluto liberamente compromettere scegliendosi un popolo, l’altro è un protagonista subordinato, con un ruolo, sì importante, ma ben circoscritto che  non intende travalicare. Tuttavia le parole di Mosè che hanno un intento provocatorio, non sottintendono, come vedremo, alcuna intenzione di disimpegno o di rinuncia alle proprie responsabilità, anzi…

v.11:“Mosè allora supplicò il Signore”: eccolo infatti, del tutto dedito alla sua missione,   esercitare, in modo strenuo, un’intercessione. Mosè, come sappiamo, era stato incaricato, sin dall’Egitto, di un compito immane che, da subito, aveva avvertito impari. Lui che era partito perciò con tremore e riluttanza, ora, nonostante le delusioni e le inaudite difficoltà, avverte sempre più che questa causa è diventata la sua, perché sempre più suo è il popolo per il quale si trova a lottare: ostinato, ribelle, ingrato, traditore, eppure suo. Ogni prova, ogni provocazione, persino da parte di Dio, sembrano moltiplicare in lui le motivazioni e il coraggio. Davvero, come dice efficacemente il Salmo 105/106: “Egli (Dio) aveva già deciso di sterminarli, se Mosè, suo eletto, non fosse stato sulla breccia di fronte a lui, per stornare la sua collera dallo sterminio”. Mosè, uno sulla breccia di fronte a Dio.

v.11:“Perché…?(perché vuoi distruggere il tuo popolo)”, v. 13:“Ricordati…(delle tue promesse ai patriarchi)”: Dio aveva ragione a volersi divincolare da Mosè, la cui intercessione risulta infatti potente e suasiva oltre misura. Mosè si dimostra talmente efficace nella sua mediazione che, mentre invoca pietà per il popolo, sembra, in realtà, curare ancor più gli interessi divini. Egli infatti è come un geloso custode della memoria sopita, ma mai estinta, della volontà salvifica di Dio. Quella che l’ira, pur giustificata, di quel momento non poteva comunque aver cancellato. Mosè punta sull’orgoglio stesso di Dio. Egli difende l’immagine divina che, sarebbe risultata compromessa agli occhi dei potenti Egiziani se Israele fosse stato distrutto, rendendo vano poi tutto ciò per cui Dio si era in precedenza impegnato. Come si vede, Mosè sembra intercedere unicamente per salvaguardare gli interessi  superiore della gloria divina. La gloria di Dio infatti, la giustificazione del suo santo nome, l’adempimento del giuramento, fatto una volta e per sempre, sono le ragioni sulle quali Mosè s’appoggia per far leva sull’Eterno e per stornarne la collera. Non potendo trovare nell’indifendibile Israele nulla su cui appoggiarsi, Mosè cerca ogni argomento in Dio.

v.32:”Ma ora, se tu perdonassi il loro peccato… E se no, cancellami dal tuo libro”!: tutti gli argomenti sono stati squadernati; tutti i passi sono stati fatti. Rimane ancora l’estrema risorsa, che non è più un argomento, che non è più una strategia, ma l’offerta di sé stesso da parte di Mosè. E anche questo passo è da lui compiuto. La propria vita, divenuta talmente solidale e indivisibile da quella del popolo, è posta ora sul piatto della bilancia. Per lui non ci può essere, non è nemmeno ipotizzabile, una salvezza personale, individuale (“di te farò qualcosa di grande!” – gli aveva infatti garantito Dio), se non assieme a tutti gli altri che porta nel cuore. “O il perdono per tutti o dannato anch’io con loro! – è la sua irrevocabile risposta. L’intercessione, in tal modo, non è più per Mosè un’azione, una prestazione, per quanto efficace, ma la ragione stessa della sua vita. Dio  è così posto sotto scacco tanto che a questo argomento non può resistere: «Il Signore abbandonò il proposito di nuocere al suo popolo» (32,14).

L’intercessione fraterna è davvero un’arma potente: risveglia, si potrebbe dire, la bontà di Dio, la sua fedeltà, il suo desiderio di bene che giaceva come latente e che ora può di nuovo prendere forma e voce, per diventare carne e sangue vitali. Mosè, nella sua esemplare figura di intercessore, coagula e libera, in modo efficacissimo, questo irrevocato desiderio di bene che è in Dio, che è Dio, a favore del popolo d’Israele. E così Dio può finalmente compiere ciò che da sempre aveva desiderato, dopo la parentesi misteriosa del passaggio per l’ira e la minaccia di sterminio. Dio Padre trova, già adombrate in Mosè, quelle che saranno poi la figura e la missione irresistibili del suo Figlio Gesù. L’Intercessore per eccellenza che, davanti al peccato del mondo, si farà, in modo amorevolmente perfetto, carne e sangue offerti per dare corpo, il proprio corpo, al desiderio di salvezza del Padre. Il vero intercessore, che fa sì che ciascuno, anche oggi e dietro a lui, possa, a sua volta, farsi carne e sangue per l’unica volontà salvifica di Dio. L’atteggiamento di Dio cambia radicalmente di fronte alla presenza e alle parole intercessorie di Mosè: «Il Signore abbandonò il proposito di nuocere al suo popolo». Il verbo ebraico nhm (che significa abbandonare, recedere), di per sé, manifesta l’accadere di un cambiamento davvero radicale e profondo che meglio si traduce con «pentirsi»: Dio che si pente di quel che aveva pensato di fare.  E’ quanto il papa Benedetto XVI ha scritto nell’enciclica Deus Caritas est: “L’amore appassionato di Dio per il suo popolo è talmente grande da rivolgere Dio contro se stesso, il suo amore contro la sua giustizia.” (n.10)


19 Si fabbricarono un vitello sull’Oreb, / si prostrarono ad un ‘immagine di metallo fuso;

20 scambiarono la loro gloria / con la figura di un toro che mangia fieno.

21 Dimenticarono Dio che li aveva salvati, / che aveva operato in Egitto cose grandi,

22 prodigi nel paese di Cam, / cose terribili presso il mar Rosso.

23 Ed egli aveva già deciso di sterminarli, / se Mosè suo eletto non fosse stato sulla breccia di fronte a lui, / per stornare la sua collera dallo sterminio. 

(salmo 105/106)

 


Testamento spirituale del Padre Christian de Chergé (monaco trappista Ucciso, con altri 6 confratelli, in Algeria nel 1994 da fondamentalisti islamici)

Se mi capitasse un giorno (e potrebbe anche essere oggi) di cadere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia ricordassero che la mia vita era una vita donata a Dio e a questo Paese. Vorrei che accettassero che l’unico Padrone di ogni vita non è estraneo a tutto ciò. Che pregassero per me: come potrei mai essere trovato degno infatti di una così grande offerta? Vorrei che sapessero associare questa mia morte anche a tutte le altre altrettanto violente e lasciate spesso nell’indifferenza dell’ anonimato. La mia vita non vale più delle altre… In ogni caso, non ha più l’innocenza del fanciullo. Ho vissuto abbastanza per sapermi anch’io complice del male che sembra, ahimè, prevalere oggi nel mondo, e anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca. Venuto quel momento, vorrei avere almeno un attimo di lucidità per invocare il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, e al tempo stesso per perdonare di tutto cuore chi mi avesse colpito. Non posso certo auspicare una morte simile. Non vedo, infatti, come potrei compiacermi del fatto che il popolo che amo possa venire indistintamente accusato del mio assassinio. Sarebbe un prezzo troppo alto che quella che, forse, chiameranno la “grazia del martirio” fosse causata da un fratello algerino, chiunque egli sia, soprattutto se dice di agire in fedeltà a ciò che crede sia l’Islam. È troppo facile mettersi a posto la coscienza identificando quella via religiosa con gli integralismi dei suoi estremisti… L’Algeria e l’islam, per me, sono ben altra cosa! Certo, la mia morte sembrerà dar ragione a quelli che mi hanno sbrigativamente considerato un ingenuo od un idealista: “Dicci ora se la pensi ancora come prima!”. Ma costoro sappiano che proprio allora sarà finalmente liberata la mia più lancinante curiosità. Ecco infatti che allora potrò, se Dio vorrà, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui anche i suoi figli dell’islam così come lui li vede, totalmente illuminati dalla gloria di Cristo, raggiunti dalla sua Passione, investiti del dono dello Spirito che opera la comunione e ristabilisce la somiglianza, giocando con le differenze. Per questa vita perduta, totalmente mia, e totalmente loro, io rendo, fin d’ora, grazie a Dio. In questo grazie, che tutto racchiude, ci siete innanzitutto voi, amici di ieri e di oggi, e voi, amici di qui che con mia madre e mio padre, le mie sorelle e i miei fratelli, costituite quel centuplo quaggiù che mi è stato evangelicamente promesso ed accordato! E ci sei dentro anche tu, amico dell’ultimo minuto (si rivolge qui a quello che sarà il suo uccisore), che non avrai saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio pronunciare questo grazie e questo ad-Dio da te procurato. Ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in paradiso, se vorrà Dio, Lui, Padre nostro, sì, di tutti e due. Amen! Insch’Allah!

 

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