2^ stazione quaresimale: Il bene dove meno te lo aspetti

IL BENE, DOVE MENO TE L’ASPETTI

«[4]Ma il Signore scatenò sul mare un forte vento e ne venne in mare una tempesta tale che la nave stava per sfasciarsi. [5]I marinai impauriti invocavano ciascuno il proprio dio e gettarono a mare quanto avevano sulla nave per alleggerirla.

Intanto Giona, sceso nel luogo più riposto della nave, si era coricato e dormiva profondamente. [6]Gli si avvicinò il capo dell’equipaggio e gli disse: «Che cos’hai così addormentato? Alzati, invoca il tuo Dio! Forse Dio si darà pensiero di noi e non periremo». [7]Quindi dissero fra di loro: «Venite, gettiamo le sorti per sapere per colpa di chi ci è capitata questa sciagura». Tirarono a sorte e la sorte cadde su Giona.

 [8]Gli domandarono: «Spiegaci dunque per causa di chi abbiamo questa sciagura. Qual è il tuo mestiere? Da dove vieni? Qual è il tuo paese? A quale popolo appartieni?».

 [9]Egli rispose: «Sono Ebreo e venero il Signore Dio del cielo, il quale ha fatto il mare e la terra». [10]Quegli uomini furono presi da grande timore e gli domandarono: «Che cosa hai fatto?».

Quegli uomini infatti erano venuti a sapere che egli fuggiva il Signore, perché lo aveva loro raccontato. [11]Essi gli dissero: «Che cosa dobbiamo fare di te perché si calmi il mare, che è contro di noi?». Infatti il mare infuriava sempre più.

[12]Egli disse loro: «Prendetemi e gettatemi in mare e si calmerà il mare che ora è contro di voi, perché io so che questa grande tempesta vi ha colto per causa mia». 

[13]Quegli uomini cercavano a forza di remi di raggiungere la spiaggia, ma non ci riuscivano perché il mare andava sempre più crescendo contro di loro. 

[14]Allora implorarono il Signore e dissero: «Signore, fà che noi non periamo a causa della vita di questo uomo e non imputarci il sangue innocente poiché tu, Signore, agisci secondo il tuo volere».

[15]Presero Giona e lo gettarono in mare e il mare placò la sua furia. [16]Quegli uomini ebbero un grande timore del Signore, offrirono sacrifici al Signore e fecero voti.»

(Giona 1,4-16)

Il libro di Giona rappresenta una grande parabola sulla divina misericordia, ma anche un limpidissimo e sorprendente esempio di apertura universalistica che insegna a superare ogni meschino particolarismo, a partire da quello, così geloso, del giudaismo per arrivare agli esempi dei giorni nostri.

Ci troviamo di fronte ad una visione unitaria che si spalanca con simpatia sul mondo e sull’intera umanità e che si sviluppa oggi, per noi, mediante l’incontro edificante con quel variegato microcosmo che è rappresentato dalla flotta della nave.

Se non si hanno pregiudizi è possibile davvero incontrare il bene dappertutto, persino in mezzo al mare (l’elemento avverso per eccellenza per Israele) e, per di più, un mare in burrasca; da parte di marinai (proverbialmente inaffidabili) appartenenti, come se non bastasse, a svariate religioni ed etnie (d’altra parte gli Ebrei non avrebbero mai fatto quel mestiere…).

Il bene, come ancora vedremo in seguito, che si fa presente addirittura a Ninive, “la grande città”, la capitale nemica; tra i suoi abitanti pagani e corrotti…

Il racconto ci mette di fronte, potremmo dire, a due tipi di tempeste: una, di carattere naturale, procurata cioè da eventi atmosferici straordinariamente avversi:”Si scatenò sul mare un forte vento e ne venne una tempesta tale che la nave stava per sfasciarsi”. Un’altra, come si legge nel brano che immediatamente precede il nostro e che fa facendo cenno, appunto, a Ninive, di natura invece morale: il sovvertimento e la sistematica trasgressione di tutti i valori dell’umana convivenza, tanto da superare ogni limite e da colmare ogni misura:” “Proclama che la loro malizia è salita fino a me”.

E lì, proprio lì, nel mezzo delle situazioni più compromesse, quelle che ogni logica avrebbe dato per irrimediabilmente perdute, si è insinuato invece, e ancor più potente, uno spiraglio di luce; un’irresistibile forza di grazia. Prima di vedere cosa succederà a Ninive, lasciamoci edificare da ciò che accade già ora: il mare si placa, ma soprattutto, quei marinai, smentendo ogni pregiudizio nei loro confronti, mostrano una profonda religiosità (“Invocavano ciascuno il proprio Dio…:” Signore, fa’ che noi non periamo a causa della vita di quest’uomo e non imputarci il sangue innocente, poiché tu agisci secondo il tuo volere”). E l’ultima scena che li riguarda fa addirittura presagire una loro apertura e conversione al Dio d’Israele.

Questi stessi marinai hanno inoltre mostrato una religiosità supportata da una ricca umanità, ad a cominciare dalla squisita pietà nei confronti di Giona: “Che cosa dobbiamo fare di te?” – lo chiedono a lui; lasciano che sia lui a pronunciarsi;  tentano il tutto per tutto, e sino all’ultimo, per salvarlo, pur sapendo che era lui la causa di tutto quel disastro.

In questo stesso contesto e per contro, occorre dire che non solo sono legittime, ma anche doverose le perplessità e le riserve circa molte espressioni di religiosità qui rappresentate: ad es. quella di un Dio che scatena la tempesta per rappresaglia e che deve essere placato; oppure l’ammissibilità e l’efficacia del “sacrificio umano” per sedare la presunta ira divina…

Queste cose sono un retaggio dell’universo religioso del tempo (solo del tempo?). Ciò nonostante l’orizzonte in cui ci si muove è sostanzialmente valido ed edificante, come dimostra ad es. l’intensità di una fede (quella dei marinai) che non si vergogna  di visibilizzarsi, di tradursi in preghiera e di compenetrare la vita e la professione delle persone; per non parlare della consapevolezza, fortemente sottolineata, qui e poi nell’episodio successivo dei Niniviti, della  responsabilità di ciascuno sulle proprie azioni, ma anche della ricaduta sociale che queste azioni, nel bene nel male, hanno.

Anche Giona lo sa e onestamente dice: “Prendetemi e gettatemi in mare… perché io so che questa grande tempesta vi ha colto per causa mia”.  E qui anche la figura del riottoso e ribelle profeta si riabilita, tanto che, in questo momento, il suo “segno” diventa particolarmente trasparente: nella sua volontaria offerta di sé, nella sua personale immolazione, a discolpa dei marinai, non è difficile riscontrare assonanze con lo stesso Gesù :”Se cercate me, lasciate che questi se ne vadano”(Gv. 18,8; cfr.17,12; 6,39; 10,28).

“Il bene, là dove meno te l’aspetti” dunque, e può essere detto anche così uno dei temi belli del Libro di Giona. Anche se non riusciamo a  comprenderne appieno la portata, sentiamo che questo messaggio, di cui abbiamo estremo bisogno, ci fa bene.

Giona sono io, così carico di pregiudizi, di chiusure, di sospetti e di paure nei confronti degli altri, dei diversi. Ma gli altri, e proprio là dove meno te l’aspetti, (a questo punto diamo pure libero volto e nome alle categorie umane, ma anche alle persone concretissime cui, per tanti motivi, non stiamo dando credito, su cui abbiamo pregiudizi che giudichiamo male comunque o che comunque disprezziamo) sono capaci di straordinarie sorprese positive.

Certo, sono pure capaci di confermare (noi per primi , del resto) ogni ostinata meschinità e chiusura, ogni tendenza al male, ogni recidiva nel degrado o nel regresso; ma questo, se vogliamo, è l’ovvietà.

La novità sorprendente sta, appunto e invece, nella presenza, anche nel bel mezzo delle contraddizioni e del peccato, di una radice di bene pronta sempre ad attecchire e ad emergere.

La novità sta proprio nella possibilità insospettata, e sino all’ultimo, del pentimento, della conversione, e della ripresa. E dove questo poi si verifica, ciò è fonte di bene e di edificazione inimmaginabili per tutti e sembrerebbe, come vedremo, anche per Dio: “ E Dio s’impietosì riguardo al male che aveva minacciato di fare e non lo fece”. Dove una  traduzione ancora più appropriata ed efficace suggerisce qui di dire:”E Dio si pentì…” (confronta il :“C’è più gioia in cielo …” delle parabole della misericordia in Lc 15).

Dice il proverbio:”Finché c’è vita , c’è speranza!”. Si può dire anche:”Finché c’è vita c’è crescita, c’è conversione!”…

L’auspicata fiducia nei confronti degli altri non è una concessione al “buon cuore”, una questione di generica benevolenza o di saggio irenismo, è ben di più, è un dovere-dono teologale; ha in sè i tratti doverosi e necessari della virtù.

Vedo un uomo, vedo una donna, ecco che non posso non far risuonare dentro di me le parole irrevocate della creazione: “A immagine di Dio li creò!”, oppure la voce di Gesù: ”Chi accoglie voi, accoglie me!”.    Vedo un uomo e vedo una donna e non posso non vedere in loro un fratello e una sorella; addirittura il riflesso vivo del volto di Dio!


PER PREGARE:

Signore, talora anche noi attraversiamo terribili momenti no.

Ci sembra che la nostra piccola barca

faccia acqua da tutte le parti e tutto diventa buio e infido.

Abbiamo persino l’impressione che Tu ci sia contro.

In quei momenti, Signore, non permettere

che giungiamo allo stremo,

ma aiutaci a tirar fuori quel grido di fede che ci faccia abbandonare a Te.

Fa’ che, riconoscenti, accogliamo finalmente

i segnali che vengono a destarci dal torpore.

Aiutaci ad essere attenti anche alle sorprendenti provocazioni

dei cosiddetti lontani che ci richiamano alle nostre responsabilità.

Spingici al cuore delle cose gettando a mare tutto quanto è zavorra,

tutto quanto impedisce di riemergere in Te. Amen.

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