2 MEDITAZIONE STAZIONI QUARESIMALI 2017
ABRAMO. PADRE NELL’INTERCESSIONE
16 … Quegli uomini si alzarono e andarono a contemplare Sòdoma dall’alto, mentre Abramo li accompagnava per congedarli. 17 Il Signore diceva: «Devo io tener nascosto ad Abramo quello che sto per fare…? – 20 Disse allora il Signore: «Il grido contro Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. 21 Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!». 22 Quegli uomini partirono di lì e andarono verso Sòdoma, mentre Abramo stava ancora davanti al Signore. 23 Allora Abramo gli si avvicinò e gli disse: «Davvero sterminerai il giusto con l’empio? 24 Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? 25 Lungi da te il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio; lungi da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?». 26 Rispose il Signore: «Se a Sòdoma troverò cinquanta giusti nell’ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutta la città». 27 Abramo riprese e disse: « Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere… 28 Forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?». Rispose: «Non la distruggerò, se ve ne trovo quarantacinque». 29 Abramo riprese ancora a parlargli e disse: «Forse là se ne troveranno quaranta». Rispose: «Non lo farò, per riguardo a quei quaranta». 30 Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora: forse là se ne troveranno trenta». Rispose: «Non lo farò, se ve ne troverò trenta». 31 Riprese: « Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno venti». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei venti». 32 Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola; forse là se ne troveranno dieci». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei dieci». 33 Poi il Signore, come ebbe finito di parlare con Abramo, se ne andò e Abramo ritornò alla sua abitazione. (Gn 18,16-33)
Il capitolo 18 del Libro della Genesi parte dal presupposto che la perversione degli abitanti di Sodoma è giunta a proporzioni inaudite, tanto da richiedere, un radicale intervento divino destinato a distruggere l’intera città. È qui che s’inserisce la mediazione forte e coraggiosa, la preghiera-lotta di Abramo che si dimostra non solo padre nella fede, ma anche strenuo intercessore. In vista di questi eventi disastrosi, Dio aveva deciso di non tenere nascosto nulla al suo amico ed interlocutore fedele. Abramo, investito di una responsabilità così gravosa che, di colpo, lo faceva passare, dalle precedenti limitate dimensioni famigliari e di clan, ad un orizzonte ben più vasto, potremmo dire universale, sente di dover intervenire per strappare a Dio il proposito di recedere. Abramo vede nella decisione di Dio, che certamente è un giudice giusto, qualcosa di insuperabilmente problematico: il rischio di una giustizia sommaria; il trattare allo stesso modo, e per di più in modo punitivo assolutamente irreversibile, il giusto con l’empio. Da qui, l’estenuante trattativa al rialzo di Abramo nei confronti di Dio, che vede Dio cedere di buon grado, quasi non aspettasse altro. Se leggiamo però più attentamente, ci si rende conto che la richiesta di Abramo è ancora più ardita e profonda; infatti egli non rivendica soltanto la sopravvivenza degli innocenti, ma dell’intera città :«E non perdonerai forse a quel luogo per riguardo ai … giusti che vi si trovano?». Così facendo, con la sua insistita ingerenza, Abramo introduce una nuova idea di giustizia e, per assurdo, sembra insegnarla proprio a Dio, il quale dimostra di gradirla e di impararla a tal punto da farla, d’ora in poi, sempre più sua: non più una giustizia che deve punire in modo equo, retributivo, solo i colpevoli, ma quella che considera il bene come assoluto e arriva perciò a prospettare che il male possa essere vinto dal bene, fosse pure questi in quantità materialmente minimali (… dieci giusti rispetto ad un’intera città di malvagi). S’introduce, in tal modo e per la prima volta, il concetto di salvezza, e di una salvezza vicaria: quella di tutti per merito dei pochi… Quella che stupendamente porterà a Gesù! Il pensiero di Abramo, che in quel momento sembrava paradossale, si potrebbe sintetizzare così: ovviamente non si possono trattare gli innocenti come i colpevoli, il ché sarebbe ingiusto; bisogna piuttosto trattare i colpevoli come gli innocenti, salvandoli cioè e mettendo in atto, per loro, una giustizia “superiore”, capace di suscitare la loro conversione a colpi di benevolenza e non di, pur altrimenti legittima, repressione.
Abramo, stupendo intercessore, nel suo ardire, è giunto ad intuire di non stare a chiedere a Dio qualcosa di a Lui contrario; egli sa di bussare alla porta del cuore di un Dio di cui conosce l’intima tenerezza. Con la sua supplica dunque, Abramo non sta facendo altro che prestare la propria voce, ma anche il proprio cuore, alla volontà stessa di Dio che è misericordia, amore e volontà di salvezza… Certo Sodoma è una grande città e cinquanta giusti son poca cosa, ma la giustizia di Dio ed il suo perdono non sono forse l’esaltazione della forza imponderabile del bene? E così, dal momento che il Signore dimostra la disponibilità al perdono della città per i cinquanta giusti, ecco che la preghiera d’intercessione di Abramo scende sempre più sfidando, di volta in volta, gli abissi della divina misericordia: se non saranno trovati i cinquanta, non potrebbero bastare forse quarantacinque e poi, giù giù, fino a dieci? E più piccolo diventa il numero, più grande si svela e si manifesta la misericordia di Dio, che ascolta con pazienza questa sorta di trattaviva. L’ardire di Abramo si ferma a dieci; dieci giusti da trovare in Sodoma. Per quale motivo egli si fermi qui, non è detto nel testo. Forse è questo il numero che indica il più piccolo nucleo comunitario (ancor oggi, dieci persone sono il quorum minimo per poter procedere alla preghiera pubblica ebraica). Comunque, si tratta di un numero esiguo, una piccola particella di bene a cui appigliarsi per riscattare un grande male. Ma purtroppo neppure dieci giusti si trovano in Sodoma, e la città, come sappiamo, verrà perciò distrutta.
La misericordia di Dio, nel corso della storia della Salvezza, arriverà però a spingersi ben oltre. Se per salvare Sodoma sarebbero stati necessari dieci giusti, il profeta Geremia più tardi arriverà a dire, a nome dell’Onnipotente, che basterà un solo giusto per salvare Gerusalemme: «Percorrete le vie di Gerusalemme, osservate bene e informatevi, cercate nelle sue piazze se c’è un uomo che pratichi il diritto, e cerchi la fedeltà, e io la perdonerò» (5,1). Il numero è calato dunque in modo assoluto; la bontà di Dio si mostra sempre più grande. Eppure neanche questo ancora basterà, la sovrabbondante misericordia di Dio non trova la risposta di bene che cerca e Gerusalemme sarà assediata dai nemici. Bisognerà che Dio stesso diventi Lui quel giusto. E questo è il mistero insondabile dell’Incarnazione: per garantire il giusto che non si trova, Egli stesso si farà uomo. Così, il giusto ci sarà sempre, perché è Lui…! L’infinito e sorprendente amore divino sarà pienamente manifesto quando il Figlio di Dio si farà uomo: il Giusto definitivo, il perfetto Innocente, che porterà la salvezza al mondo intero salendo lui sulla croce, perdonando e intercedendo per coloro che «non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Allora finalmente l’invocazione di ogni uomo troverà risposta, allora ogni nostra intercessione sarà pienamente esaudita.
L’esemplare supplica di Abramo, nostro padre nella fede, foriera di tanto bene, ci insegni ad aprire sempre più il cuore alla misura smisurata della misericordia di Dio in Gesù, perché nell’offerta e nella preghiera quotidiana sappiamo desiderare la salvezza dell’umanità, impetrandola con perseveranza e con fiducia, uniti al Signore, grande nell’amore.
Il rimando all’esperienza di Abramo ci offre lo spunto per qualche ulteriore approfondimento sulla realtà dell’intercessione, considerandone soprattutto la genesi e la portata esistenziale; là dove essa viene cioè ad assumere, nella persona di chi la incarna, la forma di una passione insonne, di una costante attitudine spirituale. L’intercessione prima che essere una funzione, un compito o una prestazione è piuttosto l’essenza e l’esistenza stessa di quelle belle persone che, toccate dalla grazia, sentono di doversi votare, mediante il dono di sé, alla causa appassionante del bene e della salvezza dei fratelli, sul modello del Cristo. Cristo infatti, unico e insostituibile intercessore/mediatore, dopo un’intera esistenza così spesa, nell’abbraccio della croce, è irrevocabilmente arrivato a posare una mano sulla spalla di Dio e l’altra su quella dell’umanità divenendo ponte, “pontefice” di salvezza. Egli stesso però ha voluto e vuole che per questo compito decisivo, si aggregassero anche tanti fratelli dal cuore dilatato sul mondo, capaci, nel suo Spirito, di profondo ascolto, dispensatori di benevolenza, veri e propri “sacramenti viventi” della sua presenza e missione pasquale. Persone non necessariamente perfette, anzi del tutto povere e fragili ma, proprio per questo, ancor più solidali con gli ultimi; sintonizzate – ed è ciò che conta – sullo sguardo paterno di Dio a cui intendono far convergere ogni realtà, anche la più umanamente distante e compromessa. Essi stessi, per primi feriti, riescono egualmente a farsi guaritori mediante la disciplina esigente della conversione personale, la disponibilità all’aiuto, l’offerta del proprio sacrificio, l’elevazione, specifica e primaria, dell’invocazione orante e, in qualche modo, l’immolazione di sé…
Vera e propria vocazione delle vocazioni, l’esercizio dell’intercessione non è prerogativa esclusiva di qualcuno in particolare nella Chiesa, ma si addice a tutte le componenti del popolo di Dio. Pur essendo infatti caratteristica eminente dei Santi, è necessario che si estenda, in terra, ai Pastori, ai Ministri, a tutte le persone consacrate, ma anche, con una particolarissima connotazione, ai fedeli laici, la cui indole secolare li rende esistenzialmente ancor più sensibili e vicini alle diverse situazioni umane, specie a quelle più difficili e bisognose. La Chiesa, dovrebbe vivere di questo. Il mistero profondo della sua stessa identità, il fine della sua missione è infatti il farsi sacramento d’intercessione presso Dio, a favore di tutta l’umanità; con lo spirito non della crociata, ma di chi è segnato dalla croce. Ogni suo atto materiale e spirituale deve essere intercessorio, anche e soprattutto l’Eucarestia che è sempre celebrata: “Per voi e per tutti” . Tutto il bene che c’è nel mondo, ogni atto d’amore e di generosità, ogni sforzo di pace, la fatica del lavoro, la fedeltà coniugale, il sacrificio e le sollecitudini dei genitori, l’invocazione del malato e del povero, la ricerca sincera della verità, il progresso dei saperi e delle tecniche… tutto, tutto viene in essa raccolto e offerto. Assunto nel sacrificio “gradito” di Cristo, diventa parte della materia eucaristica per la salvezza del mondo, perchè non ci siano più “lacrime, morte, lutto, lamento, affanno.
Mi è caro riportare infine la testimonianza commovente del card. Martini che, nell’ultimo e sofferto periodo della sua vita, diceva di sé:” Dopo molti anni dedicati allo studio, all’insegnamento e ad un ministero pubblico (vescovo di Milano), ho deciso di vivere gli ultimi giorni della mia vita in una incessante intercessione per i bisogni delle mie sorelle e dei miei fratelli della Chiesa di Milano, che ho avuto l’onore di servire, e per le necessità del mondo intero… La preghiera di intercessione è divenuta dunque la mia priorità, la mia principale quotidiana occupazione. So che la mia intercessione e la mia preghiera valgono poco, però le metto, come goccia, nel fiume immenso della preghiera della Chiesa, che poi è la preghiera di Cristo intercessore, come dice san Paolo: “Cristo vive sempre intercedendo per noi”. Ho totale fiducia in questa preghiera, perché so che il Signore la ascolta, magari non con fatti subito clamorosi, ma certamente con la pace che Egli già semina nei cuori.
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