Carissimi, alla soglia della Settimana Santa, siamo giunti alla domenica chiamata delle Palme. Essa si ricorda facilmente per la caratteristica distribuzione, in chiesa, di quei rami d’ulivo benedetto che servono per accompagnare festosamente la processione d’ingresso e poi vengono portati a casa, in onore di Gesù…
Quest’anno, anche se non potremo vivere quel segno bello, nella preghiera personale e in famiglia, ci ricorderemo ugualmente di Gesù che, in modo del tutto consapevole, duemila anni fa, ha fatto il suo ultimo ingresso in Gerusalemme per dare compimento alla sua missione terrena. Allora, con grande sorpresa, egli si è visto attorniato ed accolto da una folla festante di gente che agitando rami di palma lo ha acclamato come l’amato re che porta la pace. Di tutto cuore, anche noi oggi, gioiosi e riconoscenti, vogliamo salutare il nostro amico e salvatore Gesù nel suo procedere fedele verso la Pasqua e, per noi e per tutti, chiedere la grazia di poterlo e di saperlo accompagnare sino in fondo, per essere partecipi della sua salvezza e della sua resurrezione.
Osanna al Figlio di David, osanna al Redentor!
Apritevi o porte eterne: avanzi il re della gloria. Adori, cielo e terra, l’eterno suo potere.
Osanna al Figlio di David, osanna al Redentor!
Questa domenica, oltre che delle Palme, è chiamata anche di Passione, infatti la si celebra mettendosi in devoto ascolto del racconto della Passione di nostro Signore; quest’anno secondo la narrazione dell’evangelista Matteo. Prima di accostarci al testo, invochiamo però sincero perdono.
Signore, tu che vai decisamente verso Gerusalemme… Abbi pietà di noi. Signore, pietà.
Cristo, tu che sei riconosciuto, accolto ed accompagnato dagli umili di cuore… Abbi pietà di noi. Cristo, pietà.
Signore, tu che per amor nostro ti disponi a subire passione e morte… Abbi pietà di noi. Signore, pietà.
Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Matteo
In quel tempo Gesù fu portato davanti al governatore, ed il governatore lo interrogò dicendo: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Tu lo dici». E mentre i capi dei sacerdoti e gli anziani lo accusavano, egli non rispose più nulla. Allora Pilato gli disse: «Non senti quante testimonianze portano contro di te?». Ma lui non rispose neanche una parola, tanto che il governatore rimase assai stupito. A ogni festa, il governatore era solito rimettere in libertà per la folla un carcerato, a loro scelta. In quel momento avevano un carcerato famoso, di nome Barabba. Perciò, alla gente che si era radunata, Pilato disse: «Chi volete che io rimetta in libertà per voi: Barabba o Gesù, chiamato Cristo?». Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.
Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto, perché oggi, in sogno, sono stata molto turbata per causa sua». Ma i capi dei sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a chiedere Barabba e a far morire Gesù. Allora il governatore domandò loro: «Di questi due, chi volete che io rimetta in libertà per voi?». Quelli risposero: «Barabba!». Chiese loro Pilato: «Ma allora, che farò di Gesù, chiamato Cristo?». Tutti risposero: «Sia crocifisso!». Ed egli disse: «Ma che male ha fatto?». Essi allora gridavano più forte: «Sia crocifisso!».
Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto aumentava, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti alla folla, dicendo: «Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi!». E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli». Allora rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.
Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la truppa. Lo spogliarono, gli fecero indossare un mantello scarlatto, intrecciarono una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero una canna nella mano destra. Poi, inginocchiandosi davanti a lui, lo deridevano: «Salve, re dei Giudei!». Sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo deriso, lo spogliarono del mantello e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero via per crocifiggerlo.
Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a portare la sua croce. Giunti al luogo detto Gòlgota, che significa «Luogo del cranio», gli diedero da bere vino mescolato con fiele. Egli lo assaggiò, ma non ne volle bere. Dopo averlo crocifisso, si divisero le sue vesti, tirandole a sorte. Poi, seduti, gli facevano la guardia. Al di sopra del suo capo posero il motivo scritto della sua condanna: «Costui è Gesù, il re dei Giudei».
Insieme a lui vennero crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra.
Quelli che passavano di lì lo insultavano, scuotendo il capo e dicendo: «Tu, che distruggi il tempio e in tre giorni lo ricostruisci, salva te stesso, se tu sei Figlio di Dio, e scendi dalla croce!». Così anche i capi dei sacerdoti, con gli scribi e gli anziani, facendosi beffe di lui dicevano: «Ha salvato altri e non può salvare se stesso! È il re d’Israele; scenda ora dalla croce e crederemo in lui. Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: “Sono Figlio di Dio”!». Anche i ladroni crocifissi con lui lo insultavano allo stesso modo.
A mezzogiorno si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Costui chiama Elia». E subito uno di loro corse a prendere una spugna, la inzuppò di aceto, la fissò su una canna e gli dava da bere. Gli altri dicevano: «Lascia! Vediamo se viene Elia a salvarlo!». Ma Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito (ora, prima di ultimare la lettura, sostiamo per qualche istante in commosso silenzio pensando al supremo sacrificio di Gesù).
Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo, la terra tremò, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi, che erano morti, risuscitarono. Uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. Il centurione, e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, alla vista del terremoto e di quello che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: «Davvero costui era Figlio di Dio!».(Matteo 27 11-54)
Davvero questa festa liturgica condensa in sé i maggiori contrasti. Nel farci rivivere l’ultima settimana terrena di Gesù, essa infatti suscita in noi dapprima sentimenti di gioioso tripudio e poi ci consegna alla più grande desolazione. Gesù infatti ha inaugurato questo periodo facendo il suo ingresso in Gerusalemme, e qui sorprendentemente, profeticamente, è stato acclamato, come messia e re, da una folla festante, accorsa lì in modo spontaneo per fargli festa, ma poi, solo pochi giorni dopo, lo stesso Gesù si è visto rinnegato, tradito, umiliato, colpito e condannato a morte; ad una morte terribile come quella in croce. Cosa dire allora? Senza finzioni, ma con l’intensità delle realtà per noi più importanti, esprimiamo davvero i sentimenti che questa celebrazione suscita. Sentiamoci innanzitutto parte di quella bella gente, di quella folla di piccoli e di umili che, festante e carica di speranza, ha saputo accogliere ed accompagnare Gesù nel suo ingresso alla Città Santa. Anche noi dunque rendiamogli l’omaggio della nostra amorevole benevolenza e gratitudine; subito dopo però dimostriamoci pronti a batterci il petto in segno di sincero pentimento e di compianto di fronte al precipitare degli eventi che colpiscono l’innocente Gesù. Avremo così il medesimo spirito di conversione, ad esempio, del ladrone pentito, crocifisso al fianco di Gesù; avremo la fede amorevole delle pie donne ai piedi della croce; avremo la commovente onestà interiore del centurione lì preposto ad eseguire la condanna ed avremo anche il coraggio generoso di Giuseppe d’Arimatea che pietosamente si è fatto carico della sepoltura dell’amico… Insomma, ci lasceremo ispirare positivamente da tutti quei personaggi che, come attestano i racconti evangelici, nonostante tutto, hanno vissuto ed illuminato la drammatica scena della Passione dimostrando di saper stare accanto a Gesù, apparentemente sconfitto, con fede incrollabile. Impareremo da loro l’inesauribile lezione di dedizione e di misericordia che promana da quella perenne fonte di grazia. Guardiamoci bene però dall’essere o dal diventare, in qualsiasi modo, massa anonima, pronta a vendersi, per facile tornaconto, ai diktat dei potenti di turno facendo loro da sguaiata cassa di risonanza. Saremmo vigliaccamente complici, anche noi, oggi, della più grave ingiustizia, del più terribile crimine che si è compiuto nella storia: la condanna di Gesù. Un crimine che però ancor oggi si perpetua là dove si favorisce, là dove non si contrasta in tutti i modi l’ingiusta sofferenza dei tanti che maggiormente rappresentano ed incarnano Gesù in mezzo a noi: i buoni, i deboli, i piccoli, gli emarginati, i poveri, tutti quelli, insomma, per cui Gesù, dalla croce, un giorno ha già versato il suo sangue innocente.