A PROPOSITO DI DUE GIUGNO, DI POLITICA E DI POTERE

Si misero in cammino gli alberi per ungere un re su di essi. Dissero all’ulivo: «Regna su di noi». Rispose loro l’ulivo: «Rinuncerò al mio olio, grazie al quale si onorano dèi e uomini, e andrò a librarmi sugli alberi?». Dissero gli alberi al fico: «Vieni tu, regna su di noi». Rispose loro il fico: «Rinuncerò alla mia dolcezza e al mio frutto squisito, e andrò a librarmi sugli alberi?». Dissero gli alberi alla vite: «Vieni tu, regna su di noi». Rispose loro la vite: «Rinuncerò al mio mosto, che allieta dèi e uomini, e andrò a librarmi sugli alberi?». Dissero allora tutti gli alberi al rovo: «Vieni tu, regna su di noi». Rispose il rovo agli alberi: «Se davvero mi ungete re su di voi, venite, rifugiatevi alla mia ombra; se no, esca un fuoco dal rovo e divori i cedri del Libano». (Libro dei Giudici 9, 8-15)

Una raffinata dose di umorismo mista a cinico sarcasmo percorre questa vivacissima pagina dell’Antico Testamento che attesta il grado di diffidenza da parte delle persone più illuminate e responsabili d’Israele, allora e propriamente, nei confronti dell’istituto della monarchia, ma, più in generale, di un certo modo irresponsabile ed arrivistico di concepire il potere.

Siamo di fronte al cosiddetto apologo di Iotam. Iotam era fratello di Abimelek; questi, volendo diventare ad ogni costo re di Sichem, non si era fatto scrupolo di eliminare tutti i possibili contendenti, a cominciare dai suoi familiari, una settantina di persone. Uno di loro però era riuscito a salvarsi: Iotam, appunto, il fratello minore. Ed è proprio lui a gridare dal monte Garizim questo apologo per mettere in guardia e fermare i capi di Sichem che, sotto, a valle, stavano proclamando re Abimelek. Come in tante favole in cui sono degli esseri inanimati a farsi portatori dell’insegnamento, qui sono le piante, in particolare l’ulivo, il fico, la vite. Gli alberi dunque volendo trovare fra di loro un re ed avendo evidentemente un concetto alto della monarchia si mettono a cercarlo tra le piante di più grande pregio. Ecco dunque che si rivolgono all’ulivo che, con il suo prezioso olio, nutre, scalda, illumina, lubrifica…, tutte cose fondamentali. Ma l’ulivo, che oltre ad essere tanto utile è pure saggio, rifiuta decisamente tale proposta. Allora gli alberi si rivolgono al fico il cui frutto è così squisito, ma anche il fico rifiuta. Si rivolgono poi alla vite, dal vino tanto gustoso: “Vieni, regna su di noi!”- le dicono, ma anche questa se ne guarda bene e rifiuta. Perché questo? Perché tutte queste piante che stanno già compiendo qualcosa di veramente prezioso, desiderano continuare il loro servizio a beneficio di tutti e non hanno né tempo né voglia di mettersi a fare i parassiti, in preda a manie di grandezza, librandosi sopra le altre piante, riveriti e serviti… Evidentemente così esse pensano del compito del re: un agitarsi inutile e un pavoneggiarsi vanesio… Alla fine allora chi accetterà questo incarico? Sarà, e molto volentieri, una pianta, guarda caso, senza arte né parte, il rovo appunto, che, nella sua inutilità, accetta questo incarico non per qualche merito o capacità, ma per pura ambizione, tanto da imporre immediatamente le sue ben precise e gravose condizioni: avido com’è, s’immagina già frondoso ed elevato, e minaccia le altre piante perché si pieghino subito sotto la sua presunta ombra.

Spietata questa critica e purtroppo, per tanta parte, sempre terribilmente attuale. Mette bene in evidenza quanto davvero il re, il potere, rischia di essere nudo quando non è servizio, ma asservito ad interessi meramente narcisistici o utilitaristici. Per fortuna però, noi sappiamo altrettanto bene quanto sia auspicabile e necessario, in quanto nobile e prezioso, l’atto del governare che procede invece democraticamente, ad opera di amministratori, dirigenti, politici preparati, capaci, dediti, coscienziosi e saggi, che si pongono generosamente a servizio del bene comune per coordinare e promuovere, con giustizia, i reciproci, legittimi, interessi di tutti, facendosi interpreti poi, con un’attenzione ed una sensibilità speciale, delle istanze precipue dei membri più deboli e svantaggiati della comunità. In tal caso, come ci ricordava il compianto papa Paolo VI, la politica assurge niente meno che a forma alta, eminente, di carità.