IL FIGLIO E FRATELLO MAGGIORE NELLA PARABOLA DEL PADRE MISERICORDIOSO – L’ANTI – INTERCESSORE
1 Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2 I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3 Ed egli disse loro questa parabola: Un uomo aveva due figli. 12 Il più giovane dei due disse al padre: «Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta». Ed egli divise tra loro le sue sostanze l3 Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14 Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15 Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. l6 Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17 Allora ritornò in sé e disse: «Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! l8 Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; l9 non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati». 20 Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21 Il figlio gli disse: «Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio». 22 Ma il padre disse ai servi: «Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23 Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24 perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». E cominciarono a far festa. 25 Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26 chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo.
27 Quello gli rispose: «Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo». 28 Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29 Ma egli rispose a suo padre: «Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30 Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso». 31 Gli rispose il padre: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32 ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato»». (Lc. 15,1,3; 11,-32)
L’azione universalmente pietosa e misericordiosa di Dio e dei suoi rappresentanti non sempre e non da tutti trova favorevole accoglienza.
Anche ai tempi di Gesù è stato così. Molti, come gli autorevoli scribi e farisei, inflessibili paladini di una giustizia formalmente rigida e inderogabile, ma, soprattutto preoccupati di non perdere i loro pretesi ed esclusivi privilegi fondati, appunto, sul timore, contrastavano fortemente la linea della divina benevolenza propugnata da Gesù. I vangeli dunque sono attraversati, oltre che dalla limpida e commovente linea della misericordia, dell’indulgenza e dell’intercessione anche da quella, fortemente contraria, della cieca intransigenza. Gesù, nel suo porsi contro, tenta in tutti i modi di convincere gli avversari con l’unilateralità buona delle sue azioni e con l’efficacia delle sue parole che hanno saputo tratteggiare anche figure quanto mai espressive quali quelle dei cosiddetti “operai della prima ora” o del fratello maggiore, nelle rispettive parabole.
Nel corso delle precedenti riflessioni abbiamo incontrato unicamente modelli positivi, fautori e testimoni esemplari cioè di quella passione amorevole ed intercessoria che è promossa dalla divina misericordia; ritengo sia altrettanto utile misurarsi però anche con gli avversari e con le loro tesi, per rappresentarci plasticamente lo scenario buio e nocivo della vita e del mondo emergente dalla loro prospettiva, all’insegna di una giustizia rigidamente punitiva.
Di fronte alla cosiddetta parabola del “figlio prodigo” (spendaccione, dissoluto…) che dovrebbe essere piuttosto conosciuta come parabola del “padre misericordioso”, perché tale, in realtà, ne è il protagonista ed il cuore, ci si può chiedere perché Gesù, nel proporla, non abbia concluso, secondo una logica peraltro legittima, con il ritorno a casa del figlio prodigo e con la pur sorprendente festa in suo onore, mentre invece vi ha “aggiunto” anche una parte successiva: quella del figlio maggiore. Forse proprio perché non si tratta di una aggiunta, ma di un elemento essenziale all’economia del racconto stesso e alla sua piena comprensione. Accanto alla figura straordinariamente positiva del padre parabolico dunque, è come se Gesù avesse voluto introdurre e mostrarne, per contrasto, anche la sua antitesi che non è tanto rappresentata dal figlio minore, quello scavezzacollo che vistosamente si allontana e sbaglia, quanto piuttosto dall’altro, l’insospettabile figlio maggiore, appunto. Sì, quest’ultimo, nella sua ineccepibilità, nella sua correttezza formale e nella sua prossimità fisica, è colui che invece incarna quanto di più distante e contrario vi possa essere e si possa immaginare rispetto al modello esemplare rappresentato dal padre e, fuor di metafora, da Dio, dalla sua natura e verità e, conseguentemente, dalla proposta ideale del vangelo e dall’immagine autentica d’umanità che ne deriva. Il figlio maggiore dunque, questa classica figura di “bravo ragazzo”, tutto casa e lavoro, non è per niente, un “uomo buono”. E noi, nella misura in cui saremmo tentati di prenderne le difese sostenendo che, in fondo, egli ha ragioni da vendere, abbiamo così modo di verificare, a nostra volta, la qualità dei nostri stessi criteri orientativi, riconoscendoci, per come siamo, spesso così distanti dal vangelo. Questo figlio e fratello (non dimentichiamo mai quest’ultimo particolare come, del resto, cerca di ricordagli e di fargli capire il padre); questo signorino dunque, alla prima occasione che ha di mostrarsi davvero per quello che è e di esprimersi compiutamente, in realtà, non si dimostra né figlio né fratello. Si mette, con livore, infatti a sputare veleno mostrando lo scenario del tutto deprimente della sua esistenza, fatta sì di fedeltà, ma solo esteriore, formale e servile, all’insegna del più sordo e rancoroso risentimento nei confronti del padre e di una perfida e sottile invidia nei confronti del fratello, accusato, non a caso, con particolari compiaciuti. Il suo cuore, per il fatto di non aver mai saputo rischiare alcuna scelta di autentica libertà e di non aver mai coltivato alcuna esperienza di gratuità, si trova ora inaridito e chiuso ad ogni possibilità di misericordia, di amore e di gioia, anzi neppure riesce a sopportare tutto ciò negli altri. Ce l’ha con il mondo intero… Eccolo perciò pestare i piedi e scuotere il capo di fronte al padre che umilmente va incontro pure a lui, così come prima era andato (corso) incontro anche all’altro figlio. Eccolo comportarsi come un bambino egoista e capriccioso che non vuol sentire ragioni. No, non è certo questo l’ideale di fedeltà e dunque di umanità cui siamo evangelicamente chiamati; no, non è per diventare schiavi di un senso del dovere cieco e sordo che abbiamo il grande dono della dignità filiale. Siamo chiamati invece alla festa della vita, ad una libertà davvero sovrana e ad un amore filiale e fraterno; ad un senso d’umanità caldo e cordiale. Figli di un Padre che ama tutti e ciascuno di amore gratuito, che vuole tanto il nostro bene, quanto la nostra libertà, che, per questo, è disposto a soffrire, che non smette di amarci e che gioiosamente ci accoglie nel perdono, perché a lui nient’altro interessa se non che abbiamo e riabbiamo la vita… La vera vita è così una diretta partecipazione alla sua stessa grazia (“essere sempre con lui”) e la accoglienza della sua stessa passione (avere un cuore che ama di amore misericordioso; un cuore di carne e non di pietra).
Entriamo, per un momento, nella testa del fratello maggiore: “Io, ci tengo a precisarlo, non ho nulla da spartire con quel disgraziato, con quel poco di buono di mio fratello, uno che ha abbandonato tutto per andare a rovinarsi con le prostitute straniere, uno che ha preteso ed ottenuto da suo padre un’eredità che non gli spettava e che ha intaccato il patrimonio di famiglia. Ma quello che non posso sopportare è, ancor più, mio padre. Prima, ha consegnato a quel mascalzone tutto quel che pretendeva e l’ha lasciato andare e poi, come se non bastasse, tutti i giorni, senza un briciolo di dignità, ha passato un sacco di tempo alla finestra a guardare nel vuoto, come in attesa di qualcosa, di chissà quale segnale… Quando, dopo tutto, quel disgraziato di suo figlio ha avuto la sfrontatezza di ripresentarsi, lui, invece di castigarlo e di condurlo davanti agli anziani, come prescrive la legge, come se niente fosse, come se ci fosse un qualche motivo per stare allegri, lo ha accolto a braccia aperte e gli ha fatto una gran festa. Non solo: avrebbe addirittura preteso che vi partecipassi anch’io. Lui, per far festa a quel rovina famiglie, ha fatto uccidere il vitello grasso e a me invece, che non mi sono mai mosso, che l’ho sempre servito e riverito e che non gli ho mai chiesto niente, mai si è degnato di darmi neanche uno straccio di capretto per far festa con gli amici; e faccio così per dire, perché, tanto, io di amici non ne ho. Se pensano che ceda e che vada alla festa, hanno un bel da aspettare!”. Usciamo alla svelta a prendere aria.
Io voglio lasciarmi abbracciare da te, Padre buono. Solo così avrò la gioia di accogliere i figli tuoi e i fratelli miei, per poi far festa con loro. Sì, unicamente se mi lascerò abbracciare da te, potrò pregustare quella festa senza fine che da sempre è il tuo paradiso, e che spero diventi il mio, il nostro, il paradiso di tutti. Te lo chiedo per la mediazione di Gesù, mio unico Signore, Maestro e vero fratello maggiore, nella letizia dello Spirito Santo, mia guida interiore. Amen.
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