COME VOLEVASI DIMOSTRARE
«Fu rivolta a Giona una seconda volta questa parola del Signore: “Alzati, và a Ninive la grande città e annunzia loro quanto ti dirò”
Giona si alzò e andò a Ninive secondo la parola del Signore. Ninive era una città molto grande, di tre giornate di cammino.
Giona cominciò a percorrere la città, per un giorno di cammino e predicava: “Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta”.
I cittadini di Ninive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, dal più grande al più piccolo. Giunta la notizia fino al re di Ninive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì di sacco e si mise a sedere sulla cenere. Poi fu proclamato in Ninive questo decreto, per ordine del re e dei suoi grandi: “Uomini e animali, grandi e piccoli, non gustino nulla, non pascolino, non bevano acqua. Uomini e bestie si coprano di sacco e si invochi Dio con tutte le forze; ognuno si converta dalla sua condotta malvagia e dalla violenza che è nelle sue mani. Chi sa che Dio non cambi, si impietosisca, deponga il suo ardente sdegno sì che noi non moriamo?”.
Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si impietosì riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece.
Ma Giona ne provò grande dispiacere e ne fu indispettito. Pregò il Signore: “Signore, non era forse questo che dicevo quand’ero nel mio paese? Per ciò mi affrettai a fuggire a Tarsis; perché so che tu sei un Dio misericordioso e clemente, longanime, di grande amore e che ti lasci impietosire riguardo al male minacciato. »
(Giona 3,1-4,2)
Abbiamo ascoltato il capitolo terzo e l’inizio del quarto del libro di Giona.
Giona se lo sentiva; per questo aveva tentato la fuga; ma non era bastato, eccolo infatti a Ninive. Egli, la prima volta, non era andato a Ninive, era anzi fuggito, non per pigrizia o per paura (il timore di una “missione impossibile” e pericolosa). Era fuggito, adesso finalmente lo veniamo a sapere, perché immaginava sin troppo bene come sarebbe andata a finire:”Non era forse questo che andavo dicendo quand’ero nel mio paese?”. Che cosa? La “possibile” conversione dei Niniviti e, più ancora il perdono nei loro confronti da parte di Dio.
Di solito quando uno compie un’azione desidera che essa vada a buon fine; qui c’è uno che vuole invece il contrario; che vuole il fallimento di ciò che sta facendo. Giona, con la stessa ripetitività di un disco rotto aveva gridato in lungo e in largo, anzi, per un solo giorno di cammino, rispetto ai tre necessari: ”Ninive sarà distrutta, Ninive sarà distrutta!”… Con il gusto sadico di chi questo desiderava davvero, ma anche con la sdegnata certezza che purtroppo alla fine le cose sarebbero andate ben diversamente, e non tanto per la imprevedibile conversione dei Niniviti, quanto piuttosto perché il Dio d’Israele è fatto così, e per lui, per Giona, Dio è fatto male:”Un Dio misericordioso e clemente, longanime, di grande amore e che si lascia impietosire riguardo al male minacciato”. Queste parole che in bocca d’altri e altrove (ad es. Es 34, 6-7) formulerebbero la più commovente delle definizioni e la più bella delle lodi fatte a Dio; qui suonano invece, se non come una sarcastica ironia, perlomeno come un rimprovero nei confronti di Dio.
Ecco perchè prima Giona aveva perciò resistito, aveva lottato, era fuggito da questo Dio; da un Dio così, troppo “tenero” e misericordioso. Già, perché se Dio è così, dove va a finire la sua terribile potenza e che senso ha temerlo? E allora che ne sarà mai della giustizia, dell’ordine, dei privilegi derivanti dall’appartenenza al popolo eletto, dei meriti acquisiti…?
Giona è uno che sa tutto di Dio; che a suo modo gli è soggetto e lo serve (“Sono Ebreo e venero il Signore Dio del cielo, il quale ha fatto il mare e la terra” – aveva dichiarato); sa tutto di Dio, ma non condivide e dunque non apprezza e non ama questo Dio, vegheggiandone inutilmente uno diverso…
Giona è uno fra i tanti che “frequenta” infruttuosamente Dio; non si lascia cioè istruire da questo privilegiato contatto con Lui. Così sarà per gli scribi e i farisei, ben rappresentati dal figlio maggiore della parabola evangelica, tanto fisicamente vicino al padre (“sempre con me”) quanto spiritualmente lontano (Lc 15,25-31); oppure, in un’altra parabola, così sarà per gli operai della prima ora, invidiosi perché il loro strano padrone è “buono” con gli ultimi (Mt 20,1-16). Così sarà, tante volte e sino in ultimo, per gli stessi discepoli, elusivi nei confronti del Maestro, per paura di capire troppo bene i suoi progetti… E così è per me, purtroppo… Giona infatti sono io, che come Pietro, tante volte, pretendo di mettermi ad insegnare a Dio (o a Gesù, ma è la stessa cosa) a fare il suo mestiere, a tutelare meglio la propria immagine, a curare di più i suoi interessi, a dare vera efficacia alla sua azione… Altro che lo scandalo della croce (“Questo non ti accadrà mai”) o la via “debole” della misericordia e del perdono…! Un irato Giove tonante (“Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?”Lc 9,54); un Cristo da Giudizio Universale di Michelangelo, questo sì che ci vorrebbe; naturalmente, s’intende, sempre contro gli altri: chi non è del mio colore, chi non è della mia parte, chi non mi dà ragione, chi mi sta antipatico… : “Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!”(Mt 16, 23).
Le frequentazioni religiose, la dimestichezza con gli ambienti ecclesiastici, non sono, in quanto tali o per se stesse, garanzia di fede…”Allora comincerete a dire: Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze (…abbiamo detto tante volte: Signore, Signore!). Ma egli vi dichiarerà: Vi dico che non so di dove siete…”(Lc 13, 26s). La fede vera è piuttosto dall’onestà di base, dalla docilità dell’ascolto, dalla serietà del confronto, dalla generosa disponibilità a cambiare.
A conclusione, è bello pure mettere in evidenza la sorprendende conversione di Ninive. Sia il grande peccato che la conseguente corruzione, possono essere, talora, più che l’espressione di un gusto perverso al male, il frutto, più banale, di una inerzia; l’assenza di una proposta alternativa con cui fare i conti e per la quale aprire gli occhi e riuscire a vedere altro, il bello…
Pare che a Ninive non aspettassero che questo; che cioè qualcosa di nuovo venisse a destarli dal loro deludente torpore, tant’è che è bastato il contatto con la scalcinata e improbabile predicazione di Giona per farli cambiare radicalmente. Che bello: un’intera società che si converte dal più grande al più piccolo, compresi gli animali (l’intera società dunque), a cominciare dal re, il quale di fronte alla parola, risponde con dei fatti esemplari: si alza, si sveste, si copre di sacco, si siede sulla cenere, indìce un decreto (mette finalmente la sua autorità a servizio della verità e del bene). L’invito per tutti è quello alla conversione che passa sì per dei gesti e dei segni esteriori, ma che non si ferma lì e raggiunge le convinzioni più profonde e cambia ogni mentalità consilidata… In questo stupendo progetto di “società in conversione” emerge anche una basilare motivazione di fede: un Dio che certamente è considerato all’origine della minaccia ma che in ciò e per il conseguente avvertimento che l’accompagna, dimostra un suo interesse, una sua passione in vista di un auspicato e ancora possibile ravvedimento. Un Dio desideroso di questo, più che di vendetta; di vita, più che di morte. Ancora una volta, nel libro di Giona, i pagani vengono considerati in modo positivo, anche dal punto di vista dell’apertura religiosa. Alla conversione dei Niniviti fa seguito, arditissimo, la “conversione” di un Dio che sembra non aspettare altro: motivo di gioia per i Niniviti, motivo di rabbia per Giona. “Un Dio sconfinato”; il Dio dell’universo, ma specialmente di tutti e per tutti, che riversa il suo amore su tutti, senza quelle barriere che ci creiamo noi e che diventano, se non si sta attenti, le nostre stesse prigioni di meschinità.
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